Fascisti a Palermo. Istituzioni e ceti dirigenti in una provincia del regime 1922-1943 / di Matteo Di Figlia
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Palermo giunse tardi al fascismo. Come nel resto del Paese, al netto della decantata fine dell’elettoralismo, ci si chiese chi potesse rappresentare al meglio, nel capoluogo e nella provincia, la rivoluzione in camicia nera.
In parte si affermarono fascisti della prima ora; più spesso emersero individui sedotti dalla nuova politica dopo che questa aveva conquistato il potere, e ritrovatisi a operare in istituzioni preesistenti o in ruoli creati dal governo Mussolini. I vertici del partito, i prefetti e i questori sovraintesero a questo processo, anche interagendo con i gruppi mafiosi, ora per tenerli lontani dai gangli del potere locale, ora cooptandoli come parte di un notabilato del quale si cercava l’appoggio. Vecchie e nuove élite contrattarono, a volte confliggendo, con chi rappresentava la tendenza centralizzatrice del regime, e sfruttarono gli spazi di manovra apertisi dopo la marcia su Roma.
Il libro indaga questi meccanismi di selezione. Ne esce un quadro complesso e dinamico, con una periodizzazione interna, specie per l’accelerazione totalitaria degli anni Trenta.
Matteo Di Figlia insegna Storia contemporanea all’Università degli Studi di Palermo. Tra le sue pubblicazioni: Alfredo Cucco. Storia di un federale (Mediterranea ricerche storiche, 2007); Farinacci. Il radicalismo fascista al potere (Donzelli, 2007); Israele e la sinistra. Gli ebrei nel dibattito pubblico italiano dal 1945 a oggi (Donzelli, 2012).