La notte del 17 marzo 1891 il mare attorno a Gibilterra era tempestoso, il piroscafo Utopia affollato di emigranti che dall’Italia andavano in America procedeva a fatica. Il capitano cercava un approdo ma la scarsa visibilità non gli permise di evitare le navi inglesi già in rada. Venne speronato, per affondare bastarono pochi minuti: c’erano oltre 880 passeggeri, gli italiani che risultarono morti o dispersi furono 537. Adesso Roberto Lopes ne ricostruisce la vicenda in 1891. Il naufragio del piroscafo Utopia (Istituto poligrafico europeo, 183 pagine, 15 euro) con introduzione di Enzo Guarrasi.
La nave oceanica con quel nome che sembra una beffa era stata costruita a Glasgow nel 1874, presto era stata impiegata nel ricco mercato dell’emigrazione italiana. Per il suo ultimo viaggio era partita da Trieste, scendendo verso Sud si era fermata più volte e a Palermo aveva raccolto 57 passeggeri; una ventina di loro proveniva da un paese che si stava spopolando, Mezzojuso.
Il censimento del 1881 aveva registrato 7.683 abitanti, poi c’era stata come un’emorragia e nel 1911 si sarebbero ridotti a 5.841: inutilmente un quotidiano esortava a non emigrare, a MezzoJuso circolavano voci strabilianti che incantavano i paesani. Addirittura, sembrava che i lupi del Canada fossero più piccoli e buoni di quelli europei.
Roberto Lopes riporta le cifre ufficiali, ci ricorda che dal 1876 al 1915 emigrarono oltre 14 milioni di italiani. Dalla Sicilia furono 1.352.000 e l’inchiesta Jacini – pubblicata nel 1884 – chiariva quali fossero le misere condizioni di vita da cui si fuggiva. Erano anni in cui la paga giornaliera di un bracciante bastava per un paio di chili di pane e l’America era speranza ragionata: le “catene migratorie” mantenevano saldi i legami fra chi era partito e chi, ancora al paese, era affascinato dai racconti su salari alti e facili ricchezze. Come sempre accade erano i più giovani e risoluti a guidare la “spartenza”, resa più facile dalla prima linea a scartamento ridotto costruita in Sicilia. Lo chiamavano ’u subburbano e rendeva le cose più semplici, bastava andare alla stazione di Mezzojuso e da lì a Palermo, dove aspettava la nave che li avrebbe portati lontano. Forse sino a “Nuova Iorca”.
Amelia Crisantino, la Repubblica Palermo, 31 dicembre 2023