I trent’anni della rivista e il profilo della storica direttrice nel libro di Egle Palazzolo
Mafai e “Mezzocielo”: una storia al femminile che racconta la passione, di Marcello Benfante, la Repubblica Palermo, 23 gennaio 2021
La memoria, quando si traduce in scrittura, funziona un po’ come le clessidre: la sabbia del tempo vi scorre via inarrestabile, quasi che scivolasse tra le dita, ma infine si raccoglie tutta sul fondo. Il movimento verso il basso non è stato vano, ci ha dato la misura del tempo, la sua cognizione. Basterà rovesciare la clessidra, e ciò che si credeva perduto tornerà a scorrere, a ridarci il senso del tempo, il suo ritmo. Così accade anche a quel genere letterario cosiddetto storico o memorialistico. Ogni cosa passata vi si deposita sul fondo e vi giace inerte finché, attraverso la lettura, qualcuno non la renda nuovamente fruibile, non la recuperi alla nostra coscienza.
Proprio come una clessidra funziona quest’ultimo libro di Egle Palazzolo (“Simona e Mezzocielo”, Istituto Poligrafico Europeo, pagine 107, euro 12). L’autrice vi recupera una parte della sua memoria, come una delle protagoniste di questa fervida avventura. Ma così facendo (e questo si rivela il suo vero fine) coinvolge nel ricordo altre vite, altre esperienze, nella dimensione collettiva del dialogo e della storia della città. Per una scrittura autobiografica, ma non narcisistica, «serve forse un input che parta da altri». L’input è la figura carismatica di Simona Mafai, “epicentro” di quel fenomeno culturale e sociale che è stata per trent’anni la rivista “Mezzocielo”.
Simona “la rossa” definirà l’esperienza di capogruppo del Pci in Consiglio comunale come la tappa più significativa.
Nella narrazione di Egle Palazzolo, ancorché non sistematica, bensì frammentaria e antologica, ciò che sembrava perduto nell’esistenza effimera, per antonomasia, del giornalismo o in quella estremamente combustibile della lotta politica e civile, ritorna pulsante, attuale, operativo.
Certo, vi sono figure indimenticabili (ma anch’esse sempre minacciate dall’oblio) che hanno segnato con la loro opera e il loro pensiero la crescita e il riscatto della nostra città. Fra queste Simona Mafai. Scomparsa nel giugno del 2019, era nata a Roma nel 1928. I genitori, Mario Mafai e Antoinette Raphael, erano entrambi validi e noti artisti. Giovanissima, Simona comincia a lavorare come dattilografa alla Commissione nazionale di propaganda del Partito comunista italiano. La svolta, nella sua vita, è l’incontro con Pancrazio De Pasquale alle Frattocchie, la celebre scuola di partito. Nasce qui un rapporto intenso e ricco di conseguenze non solo private. I due si sposeranno nel 1952 e qualche tempo dopo si trasferiranno in Sicilia, terra natale di De Pasquale. Nel 1976 Simona Mafai viene eletta al Senato. Poi, nel 1980, rivestirà a Palermo la carica di consigliere comunale e capogruppo dei comunisti, ruolo che considererà «l’esperienza più appassionante» della sua carriera politica.
Il numero 1 del novembre 1991 reca un editoriale di Giuliana Saladino su “La sofferenza che conta”.
Sempre a Palermo, nel 1987 la Mafai si fa promotrice di un coordinamento interpartitico volto a sviluppare una politica contro la violenza sui bambini, da cui nascerà un “Progetto infanzia” in saranno coinvolte molte associazioni femminili cittadine sotto la guida di Marina Marconi, assessore comunale alla Sanità. Nel 1991 nasce la rivista “Mezzocielo”, per iniziativa di un gruppo di donne, tra cui, insieme a Simona Mafai, troviamo Letizia Battaglia, Rosanna Pirajno, Rosalba Bellomare. Il numero 1, nel novembre del 1991, reca in prima pagina due editoriali di grande peso politico e culturale: “Palermo e non solo” di Simona Mafai e “La differenza che conta” di Giuliana Saladino.
“Mezzocielo” si presenta subito come una voce originale e dirompente nello scenario del giornalismo palermitano (e non solo), che rimarrà sempre spiccata e riconoscibile anche nelle trasformazioni successive.
A dirigerla è Simona Mafai, che ne resterà leader indiscussa anche quando passerà la carica di direttrice ad altre. La sua personalità, la sua formazione, le sue doti intellettuali la rendono capace, scrive Palazzolo, «di dirigere, di coagulare, di essere uguale fra tutte», sempre «tenendo la barra dritta» e facendo “squadra”.
Fin dall’inizio la rivista si distingue come un progetto collettivo, la cui prassi è basata sul dialogo, non sempre facile, tra figure eterogenee. Nella sua coerente rigidità caratteriale, Simona Mafai è il perno ideale di questo coacervo di forze, la mediatrice che stempera e tempra, con passione («per lei spendersi era l’unico modo di vivere», ha scritto Beatrice Agnello, una tra le principali protagoniste della rivista) ma anche con un accortissimo senso di equilibrio.
All’interno del comitato direttivo Letizia Battaglia svolge un ruolo stimolante di creativa provocazione con una “bella energia” da cui sortiscono molte felici idee (e ovviamente immagini fotografiche) che contraddistinguono lo stile nuovo e precipuo della rivista.
Il fronte tematico è vastissimo: la mafia, la violenza, il terrorismo, la guerra, la questione ambientale, il degrado urbano, la rivoluzione “gentile”, ma anche l’amore, la poesia, la scienza e il sentimento. E ovviamente la donna, con una centralità storica e teorica della questione femminista.
Questa ampiezza di orizzonti ha consentito alla rivista di ancorarsi alla cronaca nonostante la periodicità bimestrale e poi trimestrale, di essere sempre al passo coi tempi.
Un modo nuovo di fare giornalismo e cultura, con un’ottica diversa, è emerso di numero in numero, rivelando la forza di un metodo di lavoro non gerarchico né autoritario, bensì rigoroso e creativo, sodale e plurale, pur nella valorizzazione delle individualità.
L’esercito delle donne, scrive Egle Palazzolo: «Quello che desideravo, che cercavo di non perdere di vista, scrivendo, era far emergere la bella, assolutamente essenziale, presenza e partecipazione — ovunque rintracciabile dal paesino alla metropoli — di tante donne, i cui nomi solo in parte ho potuto menzionare in questo volume, tutte a proprio modo costitutive dell’identità che il percorso editoriale ha assunto nel tempo».