Recensione del libro di Fabrizio Pedone, La città che non c’era. Lo sviluppo urbano di Palermo nel secondo dopoguerra.
La febbre del mattone che concepì i nuovi quartieri distruggendo il liberty e svuotando il centro storico. L’analisi di un urbanista sulla “nuova” Palermo
di Eleonora Lombardo, la Repubblica Palermo, 21 febbraio 2020
È un equilibrio dinamico tra uomini e pietre quello che definisce una città, un luogo eletto nel quale si vive nello stesso spazio per condividere benefici e vantaggi comuni. Una definizione semplice, nella quale il gioco sembra valere la candela, eppure la corsa all’imprendibile modernità ha messo in crisi questo punto di equilibrio, una crisi che investe in pieno l’Italia del dopoguerra, il sud soprattutto, e che a Palermo passa alla storia come il “sacco di Palermo”.
A ripercorrere fatti, influenze, trasformazioni e dinamiche degli anni che vanno dal 1943 al 1971 è il libro di Fabrizio Pedone “La città che non c’era. Lo sviluppo urbano di Palermo nel secondo dopoguerra” edito dall’Istituto Poligrafico Europeo e frutto di uno studio decennale che mette insieme fonti diverse «un lavoro nato tra Palermo e il dipartimento di Storia moderna de La Sapienza di Roma presso il quale ho fatto il dottorato imparando che il compito di uno storico è incrociare fonti diverse, perché ogni fonte ha la sua verità», dice Pedone.
Una ricerca sistemica che racconta le trasformazioni della città nei durissimi anni del dopoguerra, tra lo sciacallaggio nella rimozione delle macerie e la costruzione della prima barriera sul mare; il decennio tra gli anni ’50 e ’60 caratterizzati dalla ricostruzione, dal dibattito sul nuovo piano regolatore e la distruzione impietosa delle ville Liberty per dare spazio alla speculazione edilizia e, infine, il terremoto del ’68 e le lotte per l’assegnazione della casa degli anni ’70. Un lavoro completo che ha il grande pregio di inserire gli avvenimenti chiamando in causa le dinamiche politiche, economiche, sociali, ma soprattutto le responsabilità individuali e che non tratta il “caso Palermo” come un caso isolato.
Si inizia dal racconto di una Palermo da ricostruire sulla base del piano regolatore di fine Ottocento, dall’abbandono del centro storico, pericolante e sventrato, per immaginare due strade che attraversino la città dando nuove prospettive. La Palermo che nel referendum del 1946 assegna la vittoria alla monarchia mentre nel resto dell’Italia si sceglie la Repubblica, assume una fisionomia politica e amministrativa che si rispecchia nella forma che assume la città: un’altra Palermo fuori dalle mura del centro storico, un’altra città alla costruzione della quale hanno partecipato tutti. Spiega Pedone: «Nel ’46 Palermo diventa capoluogo di una regione a statuto speciale, la guerra ha definitivamente messo fine a un’economia incentrata sugli agrumi, con la conseguente crisi dei cantieri navali, però tantissime persone si trasferiscono dalle province nella città; nasce la necessità di dare risposta al desiderio dell’impiegato regionale che vuole la casa moderna. E dove non c’è industria, l’edilizia diventa l’industria». Si costruisce senza freni, si distruggono le ville liberty e tutto comincia a girare vorticosamente intorno al mattone. Sono gli anni di Lima, Ciancimino e Vassallo, uomini ai quali è innegabile imputare responsabilità pesantissime, ma nel lavoro di Pedone c’è spazio per tirare in causa le responsabilità individuali nel bisogno di soddisfare un desiderio di modernità «Ciancimino, Lima e Vassallo erano i direttori d’orchestra di una musica che hanno suonato tutti. Tra l’opposizione erano tutti d’accordo quando si parlava in modo generico di recupero del centro storico, ma quando negli anni ’60 viene proposta una commissione antimafia per controllare le concessioni, le denunce si sgonfiano, perché nella corsa al mattone si era tutti implicati. Così come la proposta di legge del ’63 Fiorentino-Sullo sulla proprietà comunale dei suoli, che avrebbe potuto arginare l’ingerenza dei privati nell’espansione urbanistica, resta una proposta e il suo propositore non viene appoggiato in quanto esponente della Dc».
Mentre sorge la nuova città residenziale e si costruiscono i quartieri popolari ai margini, e senza servizi, il centro storico rimane una questione irrisolta e destinata ad avere riverberi almeno fino alle prime azioni di riqualifica degli anni ’90.
«Il centro storico per un lungo periodo non ha avuto risorse per vivere. Credo che la storia serva a darci gli strumenti per studiare il presente. C’è chi parla oggi di rischio “gentrificazione”, ma mi pare che nessuno si basi su dati. Palermo attira delle persone e ne espelle altrettante, il sindaco sta tendando meritevolmente di far sì che una cosa possa essere risolta attraverso l’altra, solo che si tratta di strategie messe in campo senza dati».
Pedone analizza gli anni del sacco contestualizzandoli in una prospettiva storica dinamica che tiene conto di quello che accadeva in altre città con un destino simile, come Roma e Napoli, mettendo insieme i pezzi di un mosaico ampio che spiega anche il fallimento delle alternative virtuose. Negli anni scottanti del sacco gli occhi della intellighenzia culturale internazionale erano puntati sulla città, non va dimenticato il lavoro di Danilo Dolci, il documentario della Bbc sul Cortile Cascino, ma nulla ha potuto fermare l’ubriacatura del mattone. È accaduto mezzo secolo fa ormai, ma le conseguenze sono leggibili ancora oggi in una città che vanta un numero di case inabitate tra i più alti d’Italia senza avere risolto l’emergenza abitativa.
«Il divario tra le due città non è più quello di un tempo, oggi se c’è un’emergenza è quella di inserire nel contesto urbano la “terza città”, la Zona espansione nord».
Nel frattempo, il concetto di modernità ha continuato a evolversi «Nella città si avvera un ideale di modernità condiviso. Ma la definizione di modernità cambia velocemente. Se viale Lazio prima era l’esempio della parte moderna della città e i catoi del centro storico ne rappresentavano l’aspetto arretrato, dagli anni ’90 a oggi è cambiata la prospettiva e il concetto di modernità predilige modelli di città porosa e accogliente, con una riabilitazione del centro storico».
La città che non c’era. Lo sviluppo urbano di Palermo nel secondo dopoguerra, di Fabrizio Pedone
Tra il 1943 e il 1971 l’area urbanizzata di Palermo si amplia da 600 a 5.000 ettari. È il cosiddetto “sacco di Palermo”, un’espansione edilizia incontrollata, che porta il capoluogo siciliano ad essere la città italiana con più vani inabitati in relazione a quelli edificati, mentre nei «catoi» del suo centro storico migliaia di persone rimangono relegate ad una vita di stenti. Una storia divent…
Vedi anche: RAI Radio 3 Zazà (audio), RAI TGR Sicilia (video) e TRM TgMed (video).