di Lelio La Porta, Critica marxista: analisi e contributi per ripensare la sinistra, n. 1, 2020, pagine 78-79.
Nell’analisi del pensiero gramsciano viene sempre più, soprattutto recentemente, messo in evidenza e collocato nel ruolo centrale che gli spetta il nesso profondo fra politica e pedagogia. Già Alessandro Natta ricordava che «la scuola è lo strumento dell’egemonia» (Problemi della scuola negli scritti di Gramsci in Società, agosto 1957). Che la scuola, intesa nel senso più ampio del termine (nel caso di cui si sta scrivendo, la Scuola di partito), quindi come momento dell’educazione e della crescita intellettuale, morale e politica, sia stata l’oggetto dell’«ossessione pedagogica» di Gramsci, è difficilmente contestabile. Lo dimostra ancor di più Pietro Maltese nel suo lavoro Gramsci. Dalla scuola di Partito all’Anti-Bucharin (Palermo, Istituto Poligrafico Europeo, 2018, pp. 212), che si apre con un’affermazione che dà il segno a tutta l’opera: «Questo lavoro muove da una constatazione banale: nella gramsciana filosofia della praxis vi è un nesso strettissimo tra educazione e politica, tale da configurare il problema politico come problema pedagogico e, viceversa e parimenti, il problema pedagogico come problema politico» (p. 7).
La scuola interna di partito per corrispondenza è l’oggetto specifico del lavoro di Maltese. Essa prende avvio nel 1925 e si chiude quasi subito viste, com’è ovvio, le difficoltà di un Partito semiclandestino e sottoposto al controllo occhiuto del fascismo. Maltese sostiene, e si può con lui convenire, che il progetto non presentava i crismi dell’eccezionalità in quanto rientrava in un processo di ridefinizione del Pcd’I alle prese con una serie di questioni interne e internazionali di difficile soluzione, almeno in quel momento e con l’approssimarsi della torsione del fascismo in senso totalitario. Il fine delle dispense, in numero di due, era in linea con l’impostazione gramsciana «considerando la traducibilità e convertibilità reciproca […] di problema politico e problema pedagogico» (p. 19).
I capitoli centrali del libro (dal secondo al quinto) sono dedicati a quello che viene proposto come il tema specifico delle dispense, ossia la riproduzione dei primi nove paragrafi, in traduzione italiana, della buchariniana Teoria del materialismo storico cercando di capire come e quando Gramsci sia passato da una sostanziale adesione agli aspetti divulgativo-pedagogici dello scritto di Bucharin a una critica altrettanto sostanzialmente severa. Il periodo da prendere in considerazione per Maltese è il quinquennio 1925-1930 (ossia dal Gramsci delle dispense a quello dei Quaderni). In questo arco di tempo, che l’autore analizza con dovizia di riferimenti alle pagine del carcere, va posta la “virata” nei confronti dell’opera del dirigente sovietico. Scrive Maltese: «Nei primi tempi di scrittura dei Quaderni permane l’eco di suggestioni buchariniane: è, questo, l’ultimo step della fase buchariniana» (p. 124). Nelle due dispense disponibili per la scuola di partito, ma anche negli appunti preparatori per la terza dispensa, l’utilizzazione dello scritto buchariniano è definita da Maltese «scontata, trattandosi di un testo assai noto ed apprezzato in ambito comunista» (p. 134), tradotto in diverse lingue, «adottato in molte scuole di partito», che si colloca all’interno del «filone pedagogico della produzione saggistico-divulgativa marxista» (ibidem).
Nelle due dispense, oltre alle traduzioni del Manuale buchariniano, si trovano due sezioni sull’economia politica e sul partito: «Si tratta di pagine non aliene da rigidità e che risentono, nel linguaggio e nell’impalcatura concettuale, del clima che all’epoca si respirava nel movimento comunista» (p. 157). Inoltre sembra che l’analisi proposta da Gramsci della politica bolscevica, in rapporto soprattutto al leninismo e alle scelte leniniste di politica economica (la Nep), nasconda dei riferimenti alla politica nazionale, o meglio, alla situazione dello scontro all’interno del Pcd’I. Scrive Maltese: «Si potrebbe […] sospettare che l’obiettivo della dispensa non sia solo quello di presentare un leninismo nella sostanza sempre identico a sé […] ma anche di sferrare un colpo all’ideologia organizzativistica bordighiana, che non ammette tattica, mutamenti, torsioni circostanziali […] In altre parole, il bordighismo sarebbe non leninista; leninista sarebbe, al contrario, la tattica del gruppo alla guida del Pcd’I» (p. 182). Il lavoro di Maltese comprende, di fatto, l’edizione critica delle dispense gramsciane per la scuola di partito per corrispondenza e, da questo punto di vista, compie di certo un passo avanti rispetto alla prima edizione (ormai introvabile) delle dispense curata da Corrado Morgia (Il rivoluzionario qualificato. Scritti 1916-1925, Roma, Delotti, 1988). Quella di Maltese è una edizione critica ricchissima di rimandi e di note esplicative, fermo restando il merito di Morgia di aver pubblicato un materiale inedito, nel 1988, cogliendo peraltro la prospettiva politica delle dispense, che sarà destinata a emergere poco dopo la loro composizione, nelle Tesi di Lione: innalzamento del livello «ideologico» del partito attraverso un’attività interna di preparazione dei quadri (pedagogica, appunto) in maniera da consentire a tutti i membri del Pcd’I di acquisire la consapevolezza degli obiettivi del movimento rivoluzionario, di saper operare un’analisi marxista delle situazioni e una necessaria capacità di orientamento politico. Questo era l’obiettivo della scuola di partito. E, come anche Maltese evidenzia bene, questa era una “vocazione” specificamente gramsciana, che proseguirà poi nei Quaderni, anche se con una decisa presa di distanze da Bucharin.