di Piero Violante, la Repubblica Palermo, 18 marzo 2016
L’autorappresentazione di Palermo e della sua storia procede per sottrazioni. Se in altri luoghi la retorica identitaria si affida a fatti o gesta che costruiscono, Palermo, per consolarsi che la storia è immobile, si affida a fatti, gesta che le sottraggono pezzi: teatri, ville, palazzi, persone. Per questo il furto della “Natività” del Caravaggio può diventare metafora cittadina.
A dar notizia della sottrazione del Caravaggio era stato su “L’Ora” Mauro De Mauro, che – appena un anno dopo – sarà anche lui sottratto. Così come, passeranno ventitré anni, alla città sarà sottratto il giornale che si era dato il compito di additare le sottrazioni: villa Deliella, via Libertà, la Conca d’oro, il Massimo. A essere sottratti nella vita tumultuosa della città non saranno solo illustri manufatti o panorami naturali, lo saranno con barbara violenza uomini impegnati a lottare contro la sottrazione perenne. Gli eroi civili di questa città: sindacalisti, politici, poliziotti, magistrati, giornalisti.
Ebbene la sera del 16 settembre 1970, mentre imperversava lo scirocco, fu sottratto Mauro De Mauro, giornalista de L’Ora.
Stava per rincasare. Aveva parcheggiato la Bmw blu, stava recuperando dal sedile whisky e caffè macinato di fresco, quando tre uomini lo costrinsero a rientrare nell’autovettura. “Amunì” gli dissero e l’automobile, guidata da uno dei rapitori, a balzelloni partì nella strada dissestata.
Viale delle Magnolie era l’avamposto, allora, della città in espansione. Sottrazione di un giornalista ben noto e dalla biografia controversa. Aveva fatto la resistenza dall’altro lato. Repubblichino. Aveva lottato per l’onore nella Decima Mas di Junio Valerio Borghese . Ebbene De Mauro con questo curriculum scriveva su un giornale comunista. Era considerato un giornalista di prim’ordine. I suoi articoli sull’8 luglio, le sue inchieste sul sociale facevano capire che fascista non era più. O quasi. Le opinioni non erano proprio concordi.
La sua sottrazione fu per “L’Ora” uno shock. “Aiutateci” urlava la prima pagina a otto giorni dalla sottrazione. Giuliana Saladino, quarantacinquenne, nel cerchio ristretto attorno a Vittorio Nisticò, il grande direttore di un giornale piccolo ma combattivo ( come non ci si stanca di scrivere), inizia a scrivere un diario che va dal 16 settembre al 31 dicembre. Aggiunge una cronologia degli eventi più significativi dell’anno dopo, il 1971.
Ne viene fuori un libro mozzafiato che immette De Mauro, il suo rapimento, dentro la città litigiosa, scioperaia, impraticabile, in un’Italia con la Calabria accesa e “boia chi molla”. Feltrinelli pubblica il libro nel 1972,” De Mauro . Una cronaca palermitana”. Esce nella collana “Attualità” diretta da Marco Fini, insieme a “Mafia ieri e mafia oggi” di Domenico Novacco , “Reggio Calabria. I moti del luglio 1970 –febbraio 1971” di Fabrizio D’Agostino. È la collana di “Razza padrona” di Scalfari e Turani e dei libri-inchiesta di Camilla Cederna. Una collana di denuncia politica e antiimperialista ( Cile, Vietnam), antisistema (movimento studentesco, Soccorso Rosso). Il libro fu accolto benissimo e da noi, a Palermo, letteralmente divorato. Con gli anni, anche “l’affare De Mauro” iniziò a sottrarsi alla ribalta in una matassa di piste testimonianze inefficienze più o meno colpevoli e così il libro mai più pubblicato se non in una edizione ovviamente clandestina.
Adesso torna in libreria per l’edizione Istituto poligrafico Europeo (116 pagine, 12 euro) con un accattivante e polemico saggio introduttivo di Antonino Blando e con un titolo diverso “Romanzo politico. De Mauro, una cronaca italiana“. Scelta curiosa che Blando argomenta con il fatto che il titolo originario sacrificava il libro sull’altare del caso De Mauro e della cronaca di una città periferica sminuendone la vocazione universalista. In quel “Una cronaca palermitana” Blando vede un recinto che isola Palermo. Un apartheid che si è servita di un fatto che – fosse la pista Mattei o la droga con riferimento ad Alberti, o, come diranno mafiosi in cerca di benemerenze, il golpe Borghese – non poteva considerarsi solo una cronaca palermitana. E così in accordo con gli eredi di Giuliana Saladino l’editore ha ritenuto che il titolo adeguato fosse “Romanzo politico. De Mauro, una cronaca italiana”. Il nuovo titolo fa dittico con “Romanzo civile” pubblicato postumo da Sellerio.
L’opera della Saladino è un romanzo politico, suggerisce Blando, come “Petrolio” di Pasolini. Ed è una bella suggestione critica.
Dopo tanti anni, alla rilettura il libro ricattura per il suo stile ” sperimentale”. Per le sue predilezioni elencali di sostantivi, verbi; per la passione musicale per i crescendo (Giuliana amava molto Rossini) e gli arresti improvvisi ironici, stralunati. Per un respiro narrativo che prende fiato, affastella e stremato dopo quattro-cinque righe nonostante le virgole sfiata improvvisamente.
Il natale borghese: tombola e cenone; quello lumpen tombola e sfincione. Un’ironia continua contro il potere costituito: ne fa le spese il ministro Restivo; contro la burocrazia inetta, contro il duello carabinieri- polizia, mentre la pagina si riempie di persone, cose, in un cicaleccio di soloni mentre la città è sciopero continuo, il traffico un ingorgo, e l’acqua non c’è.
Una matassa che aggroviglia sino a cancellarlo il povero De Mauro che lentamente scompare o si sottrae. E nessuno vuol più sapere perché, per chi, per cosa.